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La risposta del
nostro occhio agli stimoli luminosi è logaritmica. Infatti, dal momento
che l'occhio è sensibile solo alla luce che riceve istante per istante,
se la risposta a questa fosse lineare rischieremmo di essere totalmente
ciechi al di sotto di una certa soglia di luminosità ovvero di avere la
vista permanentemente menomata in caso di un'illuminazione
particolarmente intensa, in quanto il solo restringimento della pupilla
potrebbe non rivelarsi sufficiente a limitare un abbagliamento perenne.
Grazie a questa proprietà siamo in grado di percepire senza problemi sia
il tenue barlume della Nebulosa di Andromeda, sia il bagliore di una
folgore.
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Ipparco da Nicea |
Ipparco di Nicea
(190 a.C. – 120 a.C.)
introdusse per primo il concetto di magnitudine stellare. Egli definì di
prima grandezza le stelle più luminose e di sesta quelle appena
percettibili. Le stelle di seconda grandezza erano circa 2 volte e mezzo
più deboli di quelle di prima; quelle di terza 2 volte e mezzo più
deboli di quelle di seconda e così via. Oggi sappiamo che un astro di
magnitudine 1,0 è esattamente 100 volte più brillante di uno di 6,0, per
cui, se vogliamo conoscere l'esatto rapporto di luminosità tra una
magnitudine e la successiva, dobbiamo dividere il numero 100 in 5 parti
proporzionali, ovvero in modo tale che rimanga costante il rapporto tra
un valore e quello subito precedente; ciò equivale a calcolarne la
radice quinta, ossia ,
che si può altresì scrivere nella forma 102/5 oppure, in modo
del tutto equivalente, 100,4.
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Ipparco
all'osservatorio di Rodi |
Ipparco scruta il
cielo |
Il valore della
radice quinta di 100 è 2,511886 .... che, arrotondato per
eccesso, si suole
scrivere 2,512. Assumendo questo numero come base per un nuovo sistema
di logaritmi, proviamo a scrivere la seguente progressione geometrica:
1, 2.512, 6.310, 15.849,
39.811, 100,....
i
cui termini corrispondono rispettivamente a:
(2,512)0, (2,512)1,
(2,512)2, (2,512)3, (2,512)4,
(2,512)5, . . . .
Da quest'ultima
sequenza, si vede immediatamente che i vari esponenti non sono altro che
i logaritmi che occorre dare alla nuova base 2,512 per avere quei numeri
che in questo caso rappresentano le luminosità stellari che decrescono.
Ricordiamo, infatti, che a una maggiore magnitudine corrisponde una
minore luminosità.
Se, pertanto,
sappiamo che una certa stella è, per esempio, 20 volte più debole di
un'altra, per conoscere la differenza di magnitudine basterà calcolare
il logaritmo stellare di 20, ossia log2.512 20.
Questo sistema di
logaritmi si rivela
nella realtà poco pratico poiché nessuna calcolatrice è impostata per
logaritmi in tale base. Qui, però, ci viene incontro una fondamentale
proprietà dei logaritmi la quale afferma che
il logaritmo, in una qualunque base, di un numero è uguale al logaritmo
decimale dello stesso numero diviso per il logaritmo decimale della
base. Ossia:
logB N = log N : log B
dove B ed N rappresentano rispettivamente una base e un numero
qualunque positivo. Se applichiamo questa proprietà al nostro esempio di prima,
cioè di una stella 20 volte meno brillante di un'altra, scriveremo in
modo del tutto equivalente:
log2.512 20 = log
20 : log 2,512
Notiamo che il
logaritmo di 2,512 non è altro che la radice quinta di 100, ossia 100,4.
Dal momento che il logaritmo è l'esponente che va dato alla base per
ottenere il numero, risulta che il logaritmo di 100,4 è 0,4.
L'espressione precedente può, quindi, essere scritta così:
log2,512 20 = log
20 : 0,4.
Ma dividere un numero per 0,4 equivale a moltiplicarlo per 2,5 e questo
ci conduce all'espressione definitiva che è, pertanto:
log2,512 20 = 2,5 × log20.
Quindi, se una
stella è 20 volte meno brillante di un'altra, avrà una magnitudo 3,25
volte superiore:
infatti, log 20 =
1,3.
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